L'immaginario di Adriano Pompa: favole, forme e figure Anna Maria Fioravanti Baraldi
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Tra tele, maioliche e sculture bronzee, Adriano Pompa si muove fra due poli di attrazione: il passato e il presente. Un'attenzione al passato non volta a limitare gli stilemi figurativi del presente ma, al contrario, a conferire alle sue forme rappresentative motivi significanti ricchi e intensi di avventure fantastiche di grande fascino e di complessi significati simbolici. Un lavorio ad incastri percorre l'intero discorso visivo esposto nelle due sale dell'Istituto di Cultura Giorgio Cini di Ferrara e credo che, in questo contesto, ogni singola opera costituisca un insieme sostanzialmente coerente di rapporti culturali che si alimentano di un immaginario fecondo quanto una Wunderkammer. Meraviglie del mondo animale e vegetale ritrovate nel substrato della memoria, vengono coinvolte in una narrazione visiva come compagni di strada dai quali l'artista pretende una sorta di silenziosa complicità. E provocano, ad un primo livello, una reazione emotiva che spinge ad esplorare i particolari bizzarri delle sue leggende epiche, delle sue favole, delle sue forme iconologiche e, pure, il desiderio di fare un'intrusione nel suo personale mondo psicologico. La presenza di un'intenzione simbolica e metaforica riceve conferma dalla derivazione da alcuni motivi o elementi connotativi delle opere esposte. Non me ne voglia Adriano se stravolgo l'ordine del suo percorso espositivo; ma la presa sulla mia personale formazione storico-artistica di motivi arcaici e simbolici come il serpente, l'uccello, l'aquila, il leopardo, la lotta fra il cavaliere e il drago, l'utilizzo raffinato dell'oro e di materiali preziosi come la maiolica e il bronzo, mi ha spinto ad analizzare coincidenze e corrispondenze con la tradizione figurativa del passato. E sono proprio le coincidenze che costituiscono la sovrapposizione della narrazione metaforica, conducendo dal modello alla leggenda intesa come ricerca dell'immaginario inconscio ma razionale, che domina le forme delle favole di Adriano. Smalto traslucido azzurro e blu delinea forme neoclassiche cariche di sensualità sulla fronte dell'Uovo degli amanti (maiolica), mentre sul retro un serpente lussurioso entra in una sorta di aquila antropomorfa; nell'Uovo dell'upupa (maiolica) il dato naturalistico e descrittivo sopravanza il significato riposto (anche se la presenza del serpente raggomitolato favorisce un'interpretazione simbolica), analogamente ai due piatti con il falco e il serpente, dove i colori sono stesi prima con cifra decorativa poi con campiture tonali più sfumate. Si scoprono così nei Bestiari medievali o nel Tacuinum sanitatis realizzato alla corte di Gian Galeazzo Visconti per Venceslao IV re di Boemia e di Germania, o nel Taccuino dei disegni di Giovannino de Grassi, alcune probabili fonti di ispirazione. L'upupa che campeggia sull'uovo e ritorna a decorare come un capolettera miniato Safari maremmano, sembra discendere dalla miniatura di Giovannino de Grassi (fine sec. XIV) e con la stessa indagine lenticolare, realistica e dettagliata del grande artista lombardo tardogotico, è raffigurato il sinuoso ghepardo nella stessa tela. Rimandi all'arte preziosa della miniatura, oggetto prediletto di un collezionismo di corte che generò capolavori come le Très riches heures du Duc de Berry dei fratelli Limbourg (Chantilly, Musée Condé) o le squisitezze lineari delle pagine miniate dei maestri boemi, o di Michelino di Besozzo e all'arte dell'oreficeria, si possono intuire nell'uso delle lamine d'oro, nel procedimento e nella tecnica enluminer che offre maggior trasparenza e precisione ottica alla serie dedicata a s.Giorgio. Qui il balenare dell'oro in foglia, spesso punzonata, accentua la profondità metafisica e la valenza concettuale e simbolica delle immagini. Nella lotta di Giorgio con il drago è possibile seguire un'evoluzione che non è solo linguistica ma anche tecnica, nel sistema decorativo che prende spunto dai cassoni nuziali tardogotici da cui deriva, appunto, la forma a tabella rettangolare decorata ai margini o riempita in tutto il suo spazio dal repertorio cavalleresco di Adriano, come nella lotta ravvicinata del cavaliere anatolico contro un drago non certo mitologico ma bestiale. La poliedricità dell'artista spezza poi lo spazio equilibrato diviso dall'albero (fonte di vita) di Strano incontro con l'introduzione dell'azzurro lapislazzulo, che scolpisce la presenza/assenza del cavallo in primo piano bloccato di fronte all'arrivo fulmineo di un manichino corazzato, le cui ali dorate baluginano di luce solare. La scena cortese, che mi ricorda la Visione di s.Eustachio di Pisanello, diventa inquieta in Strano incontro2 e i parametri espressivi e concettuali si incrinano a fronte di sottili trame simbolico-allegoriche giocate sull'allusione a manifestare il tono di sostenuta astrazione verso la quale, con prepotenza, si sta avviando la ricerca di Adriano, che in Chi vince perde tutto, Allein e Grande sinfonia spaziale, traspone la narrazione di un'esperienza concettuale e priva di drammaticità. Anche la tavolozza squillante di preziosismi si scioglie in colori quasi piatti, creando un'atmosfera surreale alimentata non più dal sogno e dalla metafora, ma dal fascino riflessivo del suono della musica e della sinfonia. E', per concludere, ancora il blu che accende il gioco delle forme alla Savinio del Cavaliere azzurro. Scultura equestre, manichino surrealista ma anche segno e simbolo di un'armonia raggiunta, che non può non fare eco al Cavaliere azzurro di Kandinsky e che si pone da trait-d'union tra le atmosfere e le visioni figurative di un percorso simbolico misterioso e contemplativo (la serie dei s.Giorgio e Strano incontro) e la sospensione del sogno dettata da una profonda ragione interiore, che tende alla silenziosa geometria della musica. Il cavaliere solitario, pur ridotto ad inquietante sagoma quasi scheletrica, rimane in sella come un eroe della chanson de geste dopo un viaggio iniziatico apparentemente magico o poetico ma, al contrario, segnato da momenti di inquietudine e dall'attraversamento pericoloso dei meandri della psiche. Il tema della scultura equestre è centrale in tutta la storia dell'arte occidentale (basti pensare ai monumenti equestri pittorici di Paolo Uccello e di Andrea del Castagno in s.Maria Novella a Firenze), perché, oltre ad assolvere ad una funzione celebrativa, simboleggia il rapporto fra l'uomo e la natura, fra l'istinto e la razionalità, fra la capacità dell'io di dominare le misteriose forze del cosmo e la possibilità di esserne travolto. Sottolineare suggestioni dal Gattamelata di Donatello, al Colleoni di Verrocchio o alle sculture gotiche delle cattedrali tedesche, mi pare più che evidente quanto inutile, poiché domina, nel Cavaliere azzurro di Adriano, una dimensione ancora una volta metaforica e simbolica. |
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